Ieri mi è tornata, riparata, questa vecchia macchina. Non che abbia in progetto di usarla, ma mi fa piacere sapere che volendo potrebbe ancora scattare foto. La comprai nel 1976, quando avevo 16 anni. Costava 160.000 lire, e la pagai con rate da 20.000 grazie a un sacrificio di mia madre, uno dei tanti di quella donna.
Fino ad allora avevo usato solo macchine rudimentali, per lo più sovietiche; Lubitel, Smena, Zenith. Non che questa Edixa fosse niente di speciale, per dirla tutta. Dello storico marchio tedesco ereditava solo il nome, per il resto non era altro che un re-branding (come si direbbe oggi) della solita giapponese "generica", molto simile alla coeva Petri TTL, nata probabilmente negli stabilimenti Cosina. Ne esisteva anche una versione un poco più ambiziosa, con il 1/1000 di secondo, l'autoscatto, e soprattutto un obiettivo più luminoso e di maggior resa, ma costava oltre 200.000 lire, e non giudicai necessario torturare ulteriormente il borsellino di mamma.
Bene, perché ne parlo? Ho deciso di condividere questa piccola storia perché da questa macchina sono uscite quelle che forse sono le mie foto più belle. Non le più compiute, o più mature; non certo le più accondiscendenti o furbe; ma, sicuramente, quelle maggiormente intrise di una passione acerba e bruciante, furiosa e tenera al tempo stesso, come può essere solo un grande amore nella sua fase iniziale. Oggi forse sono più "bravo" di allora, e i miei strumenti attuali sono certo molto più performanti, ma... ma quella gioia indescrivibile che mi veniva da uno scatto riuscito, quel brivido intenso ed eccitante che sembrava sgorgare, come una scossa elettrica, direttamente dal midollo spinale quando estraevo un rullo dalla tank, fa sembrare minestra riscaldata tutto quello che è venuto dopo.
Ma si, ormai è tempo di ammettere che Gesualdo Bufalino aveva ragione: si è giovani una volta sola. Anche in fotografia.
Fino ad allora avevo usato solo macchine rudimentali, per lo più sovietiche; Lubitel, Smena, Zenith. Non che questa Edixa fosse niente di speciale, per dirla tutta. Dello storico marchio tedesco ereditava solo il nome, per il resto non era altro che un re-branding (come si direbbe oggi) della solita giapponese "generica", molto simile alla coeva Petri TTL, nata probabilmente negli stabilimenti Cosina. Ne esisteva anche una versione un poco più ambiziosa, con il 1/1000 di secondo, l'autoscatto, e soprattutto un obiettivo più luminoso e di maggior resa, ma costava oltre 200.000 lire, e non giudicai necessario torturare ulteriormente il borsellino di mamma.
Bene, perché ne parlo? Ho deciso di condividere questa piccola storia perché da questa macchina sono uscite quelle che forse sono le mie foto più belle. Non le più compiute, o più mature; non certo le più accondiscendenti o furbe; ma, sicuramente, quelle maggiormente intrise di una passione acerba e bruciante, furiosa e tenera al tempo stesso, come può essere solo un grande amore nella sua fase iniziale. Oggi forse sono più "bravo" di allora, e i miei strumenti attuali sono certo molto più performanti, ma... ma quella gioia indescrivibile che mi veniva da uno scatto riuscito, quel brivido intenso ed eccitante che sembrava sgorgare, come una scossa elettrica, direttamente dal midollo spinale quando estraevo un rullo dalla tank, fa sembrare minestra riscaldata tutto quello che è venuto dopo.
Ma si, ormai è tempo di ammettere che Gesualdo Bufalino aveva ragione: si è giovani una volta sola. Anche in fotografia.