Un plot per un racconto alla Buzzati:
Era una magnifica giornata di primavera; steso sul prato, con un filo d'erba in bocca, il signor Arturo pensava ai fatti propri, mentre contemplava distrattamente l'immacolata campitura azzurra che lo sovrastava. Nulla, razionalmente, sembrava poter infrangere quella pace rara, tanto più gradita in quei tempi difficili. Eppure il signor Arturo, mentre scioglieva il guinzaglio al cervello, sperando di vederlo fare una di quelle corse a perdifiato di un tempo, cercava di mettere a fuoco la sensazione sgradevole che lo turbava; capita, a volte, di avere un contrattempo che ci guasta l'umore in una giornata in cui siamo molto indaffarati, e dopo un poco ci sorprendiamo a lambiccarci per rammentare quale fosse la spina che ci ha punto; e il non ricordarla, invece di sollevarci, accresce l'ansia e il fastidio.
Ma quel giorno, qualunque fosse la nube che offuscava il sole, il signor Arturo l'avrebbe cercata invano in quel cielo più sgombro della scrivania di certi burocrati. Doveva trattarsi senz'altro di qualche bega lasciata in sospeso, di una bolletta scaduta, di una email carica di rogne cui aveva dimenticato di rispondere, o uno di quei chiodi fissi che affioravano puntualmente al momento di prendere sonno, e che avevano a che fare con la povertà, la vecchiaia, e la morte.
Ma forse non valeva la pena di scervellarsi per ritrovare un tanto discutibile tesoro, specie in quell'ora dorata, proprio mentre il tepore del sole cominciava a fare il suo effetto, e sentiva i sensi abbandonarlo; il signor Arturo si lasciò sprofondare dolcemente nel torpore, gustando appieno quella vellutata anestesia.
Si risvegliò accaldato e sudato; un moscone si accaniva insistentemente sulla faccia, e il cuore raddoppiava i battiti abituali; si tirò su di scatto, si stropicciò gli occhi, appoggiò il viso sulle ginocchia e cercò di riacquistare la calma; quando gli parve di sentirsi meglio, alzò gli occhi e incontrò l'orizzonte, giù verso i monti di San Sebastiano, e finalmente la vide: imponente, incombente, maestosa; spinta dai venti del mare, apparentemente e ingannevolmente innocua nel suo candore, si ergeva ed avanzava implacabile la più gigantesca delle minacce, avanguardia solitaria del battaglione che sarebbe seguito a breve.
Il signor Arturo ristette sgomento; nessun osservatore occasionale avrebbe mai potuto capire neppure la metà del tormento che si dibatteva dietro la sua tragica espressione.
Infine, trascorso qualche interminabile istante, il signor Arturo si ricompose, si tirò lentamente in piedi, e, senza più alzare lo sguardo, salì sulla vecchia automobile.
Era una magnifica giornata di primavera; steso sul prato, con un filo d'erba in bocca, il signor Arturo pensava ai fatti propri, mentre contemplava distrattamente l'immacolata campitura azzurra che lo sovrastava. Nulla, razionalmente, sembrava poter infrangere quella pace rara, tanto più gradita in quei tempi difficili. Eppure il signor Arturo, mentre scioglieva il guinzaglio al cervello, sperando di vederlo fare una di quelle corse a perdifiato di un tempo, cercava di mettere a fuoco la sensazione sgradevole che lo turbava; capita, a volte, di avere un contrattempo che ci guasta l'umore in una giornata in cui siamo molto indaffarati, e dopo un poco ci sorprendiamo a lambiccarci per rammentare quale fosse la spina che ci ha punto; e il non ricordarla, invece di sollevarci, accresce l'ansia e il fastidio.
Ma quel giorno, qualunque fosse la nube che offuscava il sole, il signor Arturo l'avrebbe cercata invano in quel cielo più sgombro della scrivania di certi burocrati. Doveva trattarsi senz'altro di qualche bega lasciata in sospeso, di una bolletta scaduta, di una email carica di rogne cui aveva dimenticato di rispondere, o uno di quei chiodi fissi che affioravano puntualmente al momento di prendere sonno, e che avevano a che fare con la povertà, la vecchiaia, e la morte.
Ma forse non valeva la pena di scervellarsi per ritrovare un tanto discutibile tesoro, specie in quell'ora dorata, proprio mentre il tepore del sole cominciava a fare il suo effetto, e sentiva i sensi abbandonarlo; il signor Arturo si lasciò sprofondare dolcemente nel torpore, gustando appieno quella vellutata anestesia.
Si risvegliò accaldato e sudato; un moscone si accaniva insistentemente sulla faccia, e il cuore raddoppiava i battiti abituali; si tirò su di scatto, si stropicciò gli occhi, appoggiò il viso sulle ginocchia e cercò di riacquistare la calma; quando gli parve di sentirsi meglio, alzò gli occhi e incontrò l'orizzonte, giù verso i monti di San Sebastiano, e finalmente la vide: imponente, incombente, maestosa; spinta dai venti del mare, apparentemente e ingannevolmente innocua nel suo candore, si ergeva ed avanzava implacabile la più gigantesca delle minacce, avanguardia solitaria del battaglione che sarebbe seguito a breve.
Il signor Arturo ristette sgomento; nessun osservatore occasionale avrebbe mai potuto capire neppure la metà del tormento che si dibatteva dietro la sua tragica espressione.
Infine, trascorso qualche interminabile istante, il signor Arturo si ricompose, si tirò lentamente in piedi, e, senza più alzare lo sguardo, salì sulla vecchia automobile.