Arsenico e vecchi merletti
Commedia moderatamente comica in 4 atti
(Ispirata a fatti reali, con nomi di fantasia).
Il primo atto vede il sipario aprirsi sul luminoso interno di una antica dimora di campagna, sorta in epoca immemorabile, e mutata nella foggia attuale, di piccolo maniero, da qualche solerte ristrutturazione ottocentesca.
-Ogni volta che Perkins veniva a trovarmi, mi chiedeva di poter contemplare Assisi da quella finestra -la vecchia vedova Mori solleva il dito ad indicarne una- ...diceva che da lì si gode della più bella vista della città.
Nella casa regna una atmosfera irreale, fuori del tempo. Tutto sembra essersi fermato, come nel castello della bella addormentata, a mezzo secolo prima. La padrona di casa e la sua governante, molto anziana anch'essa, osservano con vaga curiosità l'andirivieni degli operai che stanno trasportando e posizionando i mobili di design che qualche art- director intraprendente ha deciso di collocare in quello scenario vissuto.
-Vede? -mi mostra una cornice di argento- io e il mio povero marito in questa foto siamo con Filippo di Edimburgo, nostro ca-ri-ssi-mo amico. Sapesse a quanta gente qua del paese ho trovato lavoro! Li mandavo in Svizzera, alla General Motors! Ho fatto assumere anche due falegnami. Mi chiesero: cosa ne facciamo di due falegnami? Metteteli a lucidare i cruscotti in radica! gli ho risposto. Vede quella finestra? Ogni volta che Perkins veniva a trovarmi mi chiedeva di poter contemplare Assisi da quel punto di osservazione! Diceva che non ce n'era uno più bello.
Le vetrinette scintillano di cristalli; i pavimenti in cotto, parquet o graniglia, riflettono la luce come il marmo. Le dorature delle porcellane inglesi dipinte a mano dialogano teneramente con l'atmosfera soffusa e brunita delle stanze silenziose, animate solo dal nostro tramestio. La vedova sorveglia il tutto sprofondata in poltrona, mentre la governante scivola come una'ombra da una stanza all'altra, probabilmente disorientata, come un gatto domestico, da quella confusione che intralcia il suo usuale dominio.
Per l'atto secondo, ci spostiamo in avanti di venti anni e di pochi chilometri, esattamente nel cuore di quella Assisi che Perkins amava tanto. La casa museo di Betty Williams è stata posta in vendita, e un mio cliente, comune conoscente, incaricato della transazione, mi ha chiesto di provvedere un adeguato servizio fotografico.
-Prima di prendere qualsiasi iniziativa, sempre CHIEDERE, CHIEDERE, CHIEDERE.
Così ammonisce uno dei numerosi fogli in formato A4, stampati al computer con grafica sommaria, e disseminati nella casa, con particolare riguardo alle stanze destinate al personale di servizio.
Il palazzetto è magnifico; è circondato da un giardino curato in modo impeccabile, che accoglie una cappella privata e ulivi secolari trapiantati direttamente da Gerusalemme, ospita arredi e vestigia di inconsueta bellezza, ma l'atmosfera che vi si respira è densa e opprimente. La vecchia vedova Williams, che in gioventù si dice essere stata tanto bella da folgorare (e sposare) l'omonimo magnate, sembra ormai solo una goffa e sadica carceriera. Accompagna gli scambi di parole con il mio mediatore con impercettibili scuotimenti di testa e inarcamenti di sopracciglia, e quando il disaccordo monta troppo, ruota sgraziatamente sui tacchi e si sposta in un'altra stanza.
Io semplicemente sembro non esistere, e lavoro tranquillo fino al momento in cui, per dare un po' di vita a un angolo troppo buio del salone (dove solo il rosone romanico incastonato nella parete vale come una abitazione media), mi permetto di accendere una lampada. Alle mie spalle piomba come una furia la vivace signora, spegne la luce e mi fulmina con uno sguardo fiammeggiante, prima di tenere una lunga e piccata dissertazione sulle mille ragioni per cui i fotografi non devono mai permettersi di accendere, nelle case delle anziane miliardarie, luci che hanno trovato spente.
Conto fino a dieci, ingoio, e proseguo con il mio lavoro, incassando occhiate complici dalle cameriere, e da un giovane e gentile segretario, che a quel punto della storia devo ancora scoprire se sia o meno dotato di parola.
(Nuovo cambio di scena, e torniamo a Villa Mori).
-Gradiscono un cordiale?
Ne avevo sentito parlare, forse ricordavo la pubblicità del Cordial Campari, ma sinceramente era la prima volta che mi veniva offerta la desueta bevanda, e non vi avrei rinunciato per nulla al mondo. Seduti attorno a un tavolo da cucina, il cui piano era costituito da una lastra di marmo spessa almeno 10 centimetri, tra il tintinnare di bicchierini di Boemia e bottiglie intagliate, sulle quali piccole etichette vergate a mano distinguevano il nocino dal rosolio, e quest'ultimo appunto dal cordiale, ascoltavamo i racconti della amabile vecchietta, e nel contempo vagavo con gli occhi sulla bella cucina artigianale, i cui elementi, in legno dipinto di azzurro, ricoprivano per intero le pareti. La piccola istriona colse il mio sguardo, e ci raccontò di come quell'arredo fosse stato fortemente voluto dal compianto marito, che aveva uno stra-ordi-na-rio gusto per l'arredamento e l'arte, e non per niente era anche molto amico, come lei del resto, nientemeno che di Filippo di Edimburgo.
Poi si intrattenne a lungo, in una chiacchierata commossa, con uno dei falegnami che aveva fatto assumere alla General Motors, che nel frattempo ne aveva fatta di strada. Ci spiegò, allargando a noi la conversazione, di come fosse riuscita nell'impresa di piazzare un falegname in una fabbrica di automobili: era stato sufficiente suggerire loro di metterli a lucidare i cruscotti in radica. E ad ogni refrain, attrice consumata, dispensava un sorriso. Certamente deve essersi fatta forza per accontentarsi, lei che ne aveva avute di ben più prestigiose, di quella modesta audience, ma benevolmente non volle farcene una colpa, e mantenne il registro fermo sulla sua aristocratica leggerezza fino alla fine, quando ci congedò dicendo:
-Vedono quella finestra? sapessero quante volte Perkins si è affacciato da lì, per contemplare Assisi...
(L'atto finale si consuma dopo un nuovo salto spaziale e temporale che ci riporta a casa Williams).
Io ero ancora occupato, sotto le direttive del mio cliente, a documentare le varie stanze e scorci. A un certo punto, un grido isterico alle mie spalle fece sobbalzare tutti i presenti.
-Ma allora è proprio stupido! -il tono di voce, complice anche l'accento, era ancora più sgradevole- ma non capisce che non deve fotografare il pianoforte dove ci sono foto che ritraggono persone che lei non ha il diritto di mostrare? Guardi questo, ad esempio: è... Filippo di Edimburgo! non capisce che non si deve vedere la sua foto?!?!
Solo le persone stupide fanno queste cose senza prima chiedere!
Il gelo era sceso nel salone di casa Williams. Mentre meditavo la risposta, vidi distintamente il panico attraversare la faccia del mio cliente, che implorava con lo sguardo di non cedere alla provocazione. Ma per me la misura era colma. Calibrai il tono, e rivolgendomi direttamente al mio committente, gli dissi che senza delle scuse immediate io avrei raccolto i miei stracci e me ne sarei andato subito, perché non mi era mai capitato di essere trattato in quel modo da nessuno, tanto più con dei rimproveri sconclusionati come quelli: il pianoforte, nella foto che stavo scattando, era un piccolo oggetto sullo sfondo, nessuno avrebbe mai potuto decifrare il contenuto dei portaritratti. Ma siccome ero io lo stupido, quella là (sic!) aveva il diritto di trattarmi come fossi un suo servo? Ma per favore!
Non ricordo quale fu il gesto di pace che mi fece interrompere la preparazione dei bagagli. Ricordo solo che per tutto il resto della giornata la padrona di casa non si fece più vedere, lasciandomi piena giurisdizione su tutti gli interruttori e pianoforti che avessi voluto. Ricordo poi di come appurai la perfetta efficienza vocale del segretario: mi avvicinò mentre stavo lavorando ai piani superiori, e mi scandì sottovoce quanto avessi fatto bene a ribellarmi alla tiranna, prima che questa (testuale) mi mettesse i piedi in testa. E un sorrisetto di soddisfazione gli sfuggì, suo malgrado, mentre rievocava il mio gesto di ribellione, destinato forse a diventare leggenda in quel piccolo mondo oppresso.
Seppi della morte della milionaria solo alcuni anni dopo. E fu allora, lo ammetto, che persi definitivamente la speranza di riscuotere i soldi del mio servizio.
Che possa riposare nel luogo che il Giudice Supremo avrà ritenuto più appropriato.
(Sipario)
Commedia moderatamente comica in 4 atti
(Ispirata a fatti reali, con nomi di fantasia).
Il primo atto vede il sipario aprirsi sul luminoso interno di una antica dimora di campagna, sorta in epoca immemorabile, e mutata nella foggia attuale, di piccolo maniero, da qualche solerte ristrutturazione ottocentesca.
-Ogni volta che Perkins veniva a trovarmi, mi chiedeva di poter contemplare Assisi da quella finestra -la vecchia vedova Mori solleva il dito ad indicarne una- ...diceva che da lì si gode della più bella vista della città.
Nella casa regna una atmosfera irreale, fuori del tempo. Tutto sembra essersi fermato, come nel castello della bella addormentata, a mezzo secolo prima. La padrona di casa e la sua governante, molto anziana anch'essa, osservano con vaga curiosità l'andirivieni degli operai che stanno trasportando e posizionando i mobili di design che qualche art- director intraprendente ha deciso di collocare in quello scenario vissuto.
-Vede? -mi mostra una cornice di argento- io e il mio povero marito in questa foto siamo con Filippo di Edimburgo, nostro ca-ri-ssi-mo amico. Sapesse a quanta gente qua del paese ho trovato lavoro! Li mandavo in Svizzera, alla General Motors! Ho fatto assumere anche due falegnami. Mi chiesero: cosa ne facciamo di due falegnami? Metteteli a lucidare i cruscotti in radica! gli ho risposto. Vede quella finestra? Ogni volta che Perkins veniva a trovarmi mi chiedeva di poter contemplare Assisi da quel punto di osservazione! Diceva che non ce n'era uno più bello.
Le vetrinette scintillano di cristalli; i pavimenti in cotto, parquet o graniglia, riflettono la luce come il marmo. Le dorature delle porcellane inglesi dipinte a mano dialogano teneramente con l'atmosfera soffusa e brunita delle stanze silenziose, animate solo dal nostro tramestio. La vedova sorveglia il tutto sprofondata in poltrona, mentre la governante scivola come una'ombra da una stanza all'altra, probabilmente disorientata, come un gatto domestico, da quella confusione che intralcia il suo usuale dominio.
Per l'atto secondo, ci spostiamo in avanti di venti anni e di pochi chilometri, esattamente nel cuore di quella Assisi che Perkins amava tanto. La casa museo di Betty Williams è stata posta in vendita, e un mio cliente, comune conoscente, incaricato della transazione, mi ha chiesto di provvedere un adeguato servizio fotografico.
-Prima di prendere qualsiasi iniziativa, sempre CHIEDERE, CHIEDERE, CHIEDERE.
Così ammonisce uno dei numerosi fogli in formato A4, stampati al computer con grafica sommaria, e disseminati nella casa, con particolare riguardo alle stanze destinate al personale di servizio.
Il palazzetto è magnifico; è circondato da un giardino curato in modo impeccabile, che accoglie una cappella privata e ulivi secolari trapiantati direttamente da Gerusalemme, ospita arredi e vestigia di inconsueta bellezza, ma l'atmosfera che vi si respira è densa e opprimente. La vecchia vedova Williams, che in gioventù si dice essere stata tanto bella da folgorare (e sposare) l'omonimo magnate, sembra ormai solo una goffa e sadica carceriera. Accompagna gli scambi di parole con il mio mediatore con impercettibili scuotimenti di testa e inarcamenti di sopracciglia, e quando il disaccordo monta troppo, ruota sgraziatamente sui tacchi e si sposta in un'altra stanza.
Io semplicemente sembro non esistere, e lavoro tranquillo fino al momento in cui, per dare un po' di vita a un angolo troppo buio del salone (dove solo il rosone romanico incastonato nella parete vale come una abitazione media), mi permetto di accendere una lampada. Alle mie spalle piomba come una furia la vivace signora, spegne la luce e mi fulmina con uno sguardo fiammeggiante, prima di tenere una lunga e piccata dissertazione sulle mille ragioni per cui i fotografi non devono mai permettersi di accendere, nelle case delle anziane miliardarie, luci che hanno trovato spente.
Conto fino a dieci, ingoio, e proseguo con il mio lavoro, incassando occhiate complici dalle cameriere, e da un giovane e gentile segretario, che a quel punto della storia devo ancora scoprire se sia o meno dotato di parola.
(Nuovo cambio di scena, e torniamo a Villa Mori).
-Gradiscono un cordiale?
Ne avevo sentito parlare, forse ricordavo la pubblicità del Cordial Campari, ma sinceramente era la prima volta che mi veniva offerta la desueta bevanda, e non vi avrei rinunciato per nulla al mondo. Seduti attorno a un tavolo da cucina, il cui piano era costituito da una lastra di marmo spessa almeno 10 centimetri, tra il tintinnare di bicchierini di Boemia e bottiglie intagliate, sulle quali piccole etichette vergate a mano distinguevano il nocino dal rosolio, e quest'ultimo appunto dal cordiale, ascoltavamo i racconti della amabile vecchietta, e nel contempo vagavo con gli occhi sulla bella cucina artigianale, i cui elementi, in legno dipinto di azzurro, ricoprivano per intero le pareti. La piccola istriona colse il mio sguardo, e ci raccontò di come quell'arredo fosse stato fortemente voluto dal compianto marito, che aveva uno stra-ordi-na-rio gusto per l'arredamento e l'arte, e non per niente era anche molto amico, come lei del resto, nientemeno che di Filippo di Edimburgo.
Poi si intrattenne a lungo, in una chiacchierata commossa, con uno dei falegnami che aveva fatto assumere alla General Motors, che nel frattempo ne aveva fatta di strada. Ci spiegò, allargando a noi la conversazione, di come fosse riuscita nell'impresa di piazzare un falegname in una fabbrica di automobili: era stato sufficiente suggerire loro di metterli a lucidare i cruscotti in radica. E ad ogni refrain, attrice consumata, dispensava un sorriso. Certamente deve essersi fatta forza per accontentarsi, lei che ne aveva avute di ben più prestigiose, di quella modesta audience, ma benevolmente non volle farcene una colpa, e mantenne il registro fermo sulla sua aristocratica leggerezza fino alla fine, quando ci congedò dicendo:
-Vedono quella finestra? sapessero quante volte Perkins si è affacciato da lì, per contemplare Assisi...
(L'atto finale si consuma dopo un nuovo salto spaziale e temporale che ci riporta a casa Williams).
Io ero ancora occupato, sotto le direttive del mio cliente, a documentare le varie stanze e scorci. A un certo punto, un grido isterico alle mie spalle fece sobbalzare tutti i presenti.
-Ma allora è proprio stupido! -il tono di voce, complice anche l'accento, era ancora più sgradevole- ma non capisce che non deve fotografare il pianoforte dove ci sono foto che ritraggono persone che lei non ha il diritto di mostrare? Guardi questo, ad esempio: è... Filippo di Edimburgo! non capisce che non si deve vedere la sua foto?!?!
Solo le persone stupide fanno queste cose senza prima chiedere!
Il gelo era sceso nel salone di casa Williams. Mentre meditavo la risposta, vidi distintamente il panico attraversare la faccia del mio cliente, che implorava con lo sguardo di non cedere alla provocazione. Ma per me la misura era colma. Calibrai il tono, e rivolgendomi direttamente al mio committente, gli dissi che senza delle scuse immediate io avrei raccolto i miei stracci e me ne sarei andato subito, perché non mi era mai capitato di essere trattato in quel modo da nessuno, tanto più con dei rimproveri sconclusionati come quelli: il pianoforte, nella foto che stavo scattando, era un piccolo oggetto sullo sfondo, nessuno avrebbe mai potuto decifrare il contenuto dei portaritratti. Ma siccome ero io lo stupido, quella là (sic!) aveva il diritto di trattarmi come fossi un suo servo? Ma per favore!
Non ricordo quale fu il gesto di pace che mi fece interrompere la preparazione dei bagagli. Ricordo solo che per tutto il resto della giornata la padrona di casa non si fece più vedere, lasciandomi piena giurisdizione su tutti gli interruttori e pianoforti che avessi voluto. Ricordo poi di come appurai la perfetta efficienza vocale del segretario: mi avvicinò mentre stavo lavorando ai piani superiori, e mi scandì sottovoce quanto avessi fatto bene a ribellarmi alla tiranna, prima che questa (testuale) mi mettesse i piedi in testa. E un sorrisetto di soddisfazione gli sfuggì, suo malgrado, mentre rievocava il mio gesto di ribellione, destinato forse a diventare leggenda in quel piccolo mondo oppresso.
Seppi della morte della milionaria solo alcuni anni dopo. E fu allora, lo ammetto, che persi definitivamente la speranza di riscuotere i soldi del mio servizio.
Che possa riposare nel luogo che il Giudice Supremo avrà ritenuto più appropriato.
(Sipario)