Eh si, allora si chiamava macchina fotografica, non come oggi, fotocamera .
1973, gita scolastica di seconda media, destinazione Roma.
Piazza San Pietro, Musei Vaticani, Cappella Sistina, e poi lo Zoo (eh si, a quei tempi non si chiamava ancora bioparco).
Allo zoo dunque, appena oltre il cancello di ingresso, c'era un baracchino che vendeva souvenir; tra questi, in bella evidenza, veniva offerta, a 1000 lire, la Diana, compresa di un primo rullo BN 120; il secondo ne costava 400, e ovviamente presi il pacchetto completo.
1973, gita scolastica di seconda media, destinazione Roma.
Piazza San Pietro, Musei Vaticani, Cappella Sistina, e poi lo Zoo (eh si, a quei tempi non si chiamava ancora bioparco).
Allo zoo dunque, appena oltre il cancello di ingresso, c'era un baracchino che vendeva souvenir; tra questi, in bella evidenza, veniva offerta, a 1000 lire, la Diana, compresa di un primo rullo BN 120; il secondo ne costava 400, e ovviamente presi il pacchetto completo.
Di Jim Newberry (Jimtron) - Jim Newberry Photography, CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1028822
Anche altri miei compagni fecero la stessa cosa, e da quel momento la nostra gita si trasformò in un safari fotografico, prima allo zoo, e poi per il resto della giornata.
Digressione: i tredicenni del mio paese, in quell'epoca, non si sarebbero detti granché portati ad attività pacate come la fotografia. La nostra giornata tipo non era completa se non comprendeva: una scazzottata; una corsa di carriole con le ruote fatte coi cuscinetti a sfera, a capofitto giù per i vicoli; una gara a chi ammazzava più lucertole col fucile a rondelle; una guerra a fiondate, scagliandosi alternativamente sassi e chiodi a "U"; uno scontro con le cerbottane, rigorosamente con lo spillo infilzato in cima al "picchiatello", una esplorazione di grotte e cunicoli con le candele come illuminazione, e altre simili amene attività ricreative, che ci vedevano rientrare in casa a sole tramontato, pieni di lividi, nascondendo lesioni varie, e rassegnati a prendere la razione finale di botte, stavolta legittime, dai nostri genitori.
Faceva un po' strano, dunque, vederci armeggiare con il giocattolo di plastica, dirigendo goffamente le pose dei compagni davanti alla gabbia delle scimmie. Ci ricapitolavamo a vicenda le sommarie istruzioni del venditore, e mai avremmo pensato che per qualcuno di noi, in questo caso lo scrivente, quello sarebbe stato l'atto di nascita di una passione lunga una vita.
Rientrati a Spello, terminai il secondo rullino, e poi di corsa, con la paghetta, a sviluppare le foto da uno dei due negozi del paese. Si poteva scegliere tra Paradisi, tuttora in attività, e Balìo, il barbiere-fotografo che prima della fototessera ti metteva a posto la chioma, e che sul tavolo delle forbici teneva come soprammobile una meravigliosa Rolleiflex 2,8 F. I risultati di quei primi tentativi, oggettivamente modesti, mi parvero all'epoca miracolosi. Questo anche perché un'altra fotocamera molto venduta in quegli anni, costava mille lire anche questa, era una microcamera già sperimentata da un mio compagno, che aveva la bella caratteristica di non funzionare (o per lo meno, nessuno di mia conoscenza è mai riuscito a cavarne qualcosa), dunque temevo lo stesso per la mia economicissima Diana, che invece dimostrò di avere il passo lungo, essendo diventata di gran moda decenni dopo, sia col suo nome che con l'altro più diffuso, Holga, dando origine a un fenomeno, quello delle toy-cameras, che tuttora non ha scritto la parola "fine".
Ovviamente la Diana durò poco, rapidamente fu rimpiazzata prima dalla Comet Rapid che mi regalò mia sorella, e poi a seguire da macchine sempre migliori, ma senza mai scialacquare, almeno fino a quando, trovato lavoro, non ho iniziato a comprarle con i miei soldi.
Ma torniamo alla gita, e a quei primi scatti. Mi congedo con uno di questi, che ritrae il mio professore Diego Simeone così come è normale che si sentisse dopo una giornata con quei tranquilli fanciulli.
Digressione: i tredicenni del mio paese, in quell'epoca, non si sarebbero detti granché portati ad attività pacate come la fotografia. La nostra giornata tipo non era completa se non comprendeva: una scazzottata; una corsa di carriole con le ruote fatte coi cuscinetti a sfera, a capofitto giù per i vicoli; una gara a chi ammazzava più lucertole col fucile a rondelle; una guerra a fiondate, scagliandosi alternativamente sassi e chiodi a "U"; uno scontro con le cerbottane, rigorosamente con lo spillo infilzato in cima al "picchiatello", una esplorazione di grotte e cunicoli con le candele come illuminazione, e altre simili amene attività ricreative, che ci vedevano rientrare in casa a sole tramontato, pieni di lividi, nascondendo lesioni varie, e rassegnati a prendere la razione finale di botte, stavolta legittime, dai nostri genitori.
Faceva un po' strano, dunque, vederci armeggiare con il giocattolo di plastica, dirigendo goffamente le pose dei compagni davanti alla gabbia delle scimmie. Ci ricapitolavamo a vicenda le sommarie istruzioni del venditore, e mai avremmo pensato che per qualcuno di noi, in questo caso lo scrivente, quello sarebbe stato l'atto di nascita di una passione lunga una vita.
Rientrati a Spello, terminai il secondo rullino, e poi di corsa, con la paghetta, a sviluppare le foto da uno dei due negozi del paese. Si poteva scegliere tra Paradisi, tuttora in attività, e Balìo, il barbiere-fotografo che prima della fototessera ti metteva a posto la chioma, e che sul tavolo delle forbici teneva come soprammobile una meravigliosa Rolleiflex 2,8 F. I risultati di quei primi tentativi, oggettivamente modesti, mi parvero all'epoca miracolosi. Questo anche perché un'altra fotocamera molto venduta in quegli anni, costava mille lire anche questa, era una microcamera già sperimentata da un mio compagno, che aveva la bella caratteristica di non funzionare (o per lo meno, nessuno di mia conoscenza è mai riuscito a cavarne qualcosa), dunque temevo lo stesso per la mia economicissima Diana, che invece dimostrò di avere il passo lungo, essendo diventata di gran moda decenni dopo, sia col suo nome che con l'altro più diffuso, Holga, dando origine a un fenomeno, quello delle toy-cameras, che tuttora non ha scritto la parola "fine".
Ovviamente la Diana durò poco, rapidamente fu rimpiazzata prima dalla Comet Rapid che mi regalò mia sorella, e poi a seguire da macchine sempre migliori, ma senza mai scialacquare, almeno fino a quando, trovato lavoro, non ho iniziato a comprarle con i miei soldi.
Ma torniamo alla gita, e a quei primi scatti. Mi congedo con uno di questi, che ritrae il mio professore Diego Simeone così come è normale che si sentisse dopo una giornata con quei tranquilli fanciulli.